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Elemento psicologico del reato: la finalità di effettuare uno “scherzo” non esclude necessariamente il dolo (Cass. Pen. Sez. V – 40488/18)

12 Set 2018 - Sentenze

Elemento psicologico del reato: la finalità di effettuare uno “scherzo” non esclude necessariamente il dolo (Cass. Pen. Sez. V – 40488/18)

Per escludere l’elemento psicologico del reato non è sufficiente addurre la finalità di effettuare uno “scherzo” nei confronti della vittima, a maggior ragione nelle ipotesi di reato caratterizzate dal dolo generico e posto che in questi casi la finalità ludica costituisce mero movente dell’agire rilevante ai fini della determinazione dell’entità della pena. (Caso in cui è stata riconosciuta la responsabilità per violenza privata nei confronti del soggetto che mediante minaccia con una pistola intimava alla vittima, a lui conosciuta, di consegnargli il portafoglio “per scherzo”, restituendolo subito dopo)

 

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Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 28 maggio 2018 – 12 settembre 2018, n. 40488

Presidente Pezzullo – Relatore Pistorelli

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato, anche agli effetti civili, B. A., P. S. e P. D. per il reato di violenza privata aggravata, così riqualificato il fatto ritenuto dal Tribunale integrare il diverso reato di tentata rapina aggravata, perché agendo in concorso fra loro, sotto la minaccia di un’arma, si facevano consegnare da G. G. il portafogli, salvo poi restituirglielo dopo pochi istanti. La Corte territoriale assolveva invece B. A. per un ulteriore fatto di violenza privata, contestato esclusivamente allo stesso e per cui parimenti in primo grado egli era stato condannato.

2. Avverso la sentenza ricorrono, tramite i rispettivi difensori, i predetti imputati.
2.1 ricorso proposto nell’interesse di B. A. articola due motivi. Con il primo vengono dedotti vizi di motivazione in merito alla configurabilità del reato ritenuto in sentenza. Lamenta in proposito il ricorrente che non ricorrerebbero gli estremi della violenza o minaccia, quali elementi costitutivi del delitto di violenza privata, in quanto l’imputato avrebbe agito ioci causa e la stessa persona offesa avrebbe percepito l’episodio come un semplice scherzo fra amici e non avrebbe mai riferito di aver consegnato il portafogli perché intimorito o costretto dalla violenza subita. Analoghi vizi vengono denunziati con il secondo motivo, in quanto la Corte territoriale, con motivazione del tutto apparente, avrebbe negato il riconoscimento delle attenuanti generiche, trascurando di valorizzare che gli imputati e la parte offesa fossero soliti scherzare. Per la medesima ragione, il giudice di merito avrebbe dovuto altresì concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena.
2.2 II ricorso redatto dal difensore di fiducia di P. S. articola tre motivi. Con il primo vengono dedotti errata applicazione della legge penale e vizi di motivazione in ordine alla affermata responsabilità concorsuale dell’imputato nel reato contestato. Il giudice dell’appello, pur a fronte di specifici rilievi difensivi sul punto, non avrebbe fornito alcuna motivazione circa il ruolo effettivamente svolto dall’imputato nella commissione del reato, ignorando altresì che lo scherzo ai danni del G. era stato frutto di una decisione estemporanea ed improvvisa del solo B. Analoghi vizi vengono dedotti con il secondo motivo. Per il ricorrente, la Corte territoriale, una volta esclusa la configurabilità del delitto di rapina, avrebbe dovuto necessariamente concludere che l’apparente aggressione ai danni del G. fosse un mero scherzo. Sarebbero state travisate, inoltre, le dichiarazioni rese dalla persona offesa, la quale non avrebbe affermato di avere avuto paura della pistola puntatagli dal B., ma di essere rimasta unicamente sorpresa e perplessa di fronte a tale gesto. E sempre gli stessi vizi vengono prospettati anche con il terzo motivo in ordine alla mancata concessione all’imputato della sospensione condizionale della pena ed al diniego delle circostanze attenuanti generiche. In merito alla prima, con motivazione del tutto apparente non sarebbe stato chiarito il percorso logico che ha indotto ad escludere una prognosi favorevole di non reiterazione criminosa; quanto alle seconde, il giudice di seconde cure avrebbe omesso di considerare, oltre allo stato di incensuratezza, gli altri elementi valorizzati dalla difesa, tra cui la giovane età del P..

2.3 II ricorso proposto nell’interesse di P. D. deduce errata applicazione della legge penale e vizi di motivazione. Anche secondo il ricorrente, il contesto goliardico in cui sono avvenuti i fatti e l’intento ludico escluderebbero l’integrazione del reato di violenza privata. Inoltre, la Corte territoriale, con motivazione illogica, avrebbe ritenuto incompatibile con l’ipotesi dello scherzo la particolare modalità della condotta, sul presupposto che sarebbe stata tanto aggressiva da costringere la persona offesa a chiamare i Carabinieri. Tale assunto si fonderebbe infatti su di un errato presupposto, posto che la suddetta chiamata sarebbe stata effettuata non a seguito della richiesta di consegna del portafogli, ma a causa delle successive molestie citofoniche perpetrate nel corso della notte. Anche l’elemento soggettivo del delitto in parola avrebbe dovuto essere escluso secondo il ricorrente, atteso che – come emerso dall’istruttoria dibattimentale – gli imputati e la parte offesa erano soliti condividere quotidianamente degli scherzi. Ancora, la Corte d’Appello – a fronte di specifiche doglianze difensive – non avrebbe motivato in merito all’effettiva entità dell’apporto causale dell’imputato, rimasto invero a bordo dell’autovettura, ignaro delle reali intenzioni del B. Infine, la Corte territoriale avrebbe motivato il diniego delle attenuanti generiche e la mancata concessione della sospensione condizionale ricorrendo a mere formule di stile, senza tenere conto degli elementi di segno positivo prospettati a sostegno delle richieste difensive con il gravame di merito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati nei limiti di seguito esposti.

2. Possono innanzi tutto essere trattate congiuntamente le diverse censure avanzate dai ricorrenti in merito alla effettiva natura del fatto contestato.
2.1 Manifestamente infondati sono in tal senso i rilievi per cui il fatto sarebbe in sostanza penalmente irrilevante in ragione della presunta intenzione ludica che avrebbe mosso il B. – autore materiale della condotta tipica – ed i suoi sodali. Infatti l’intento di effettuare uno “scherzo” è idoneo ad escludere il dolo del reato solo qualora la condotta non venga posta in essere con la volontà (o l’accettazione del rischio) di determinare la lesione tipica ovvero quando tale intenzione risulti incompatibile con l’eventuale finalità specifica che caratterizza il dolo suddetto, degradando altrimenti a mero movente dell’agire, di per sé ininfluente ai fini della rilevanza penale del fatto.

2.2 La Corte territoriale ha ritenuto sussistente il reato di violenza privata, avendo rilevato che gli imputati avevano volontariamente costretto, attraverso una condotta oggettivamente minacciosa ed idonea a determinare l’effetto perseguito, la persona offesa a consegnare il proprio portafogli, realizzando dunque il fatto tipico previsto dall’art. 610 c.p. e determinando in maniera consapevole una indebita ed effettiva compressione della libertà morale del G. Trattandosi di reato a dolo generico ed a consumazione istantanea, tali conclusioni devono ritenersi corrette, rimanendo irrilevante che successivamente al momento consumativo gli imputati abbiano restituito spontaneamente il portafogli alla persona offesa.

2.3 Avendo correttamente qualificato il fatto è poi ininfluente che il giudice dell’appello abbia ritenuto di escludere — in ipotesi erroneamente – che gli imputati abbiano agito con mero intento ludico, quanto piuttosto con l’intenzione di schernire od umiliare la propria vittima, risultando dunque inammissibili i vizi di motivazione in proposito eccepiti dai ricorrenti. Infatti il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimità è solo quello attinente alle questioni di fatto e non anche di diritto, giacché ove queste ultime, anche se in maniera immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque esattamente risolte, non può sussistere ragione alcuna di doglianza (Sez. 2, n. 19696 del 20 maggio 2010, Maugeri e altri, Rv. 247123; Sez. Un., n. 155/12 del 29 settembre 2011, Rossi e altri, in motivazione). E’ dunque irrilevante il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale, posto che, come illustrato, anche qualora dovesse ritenersi che gli imputati abbiano agito esclusivamente al fine di realizzare solo uno “scherzo” ai danni del G., la soluzione della questione di diritto non avrebbe potuto essere diversa. Conseguentemente irrilevanti sono le evidenze eventualmente trascurate dalla stessa Corte che dovrebbero consentire l’inquadramento goliardico del fatto.

2.4 Alcuni dei ricorrenti hanno peraltro adombrato l’ipotesi che in realtà la vittima si fosse resa conto della reale natura dell’aggressione e che dunque il fatto non potrebbe ritenersi sostanzialmente tipico. Anche questi rilievi si rivelano però inammissibili. Innanzi tutto perché generiche, fondandosi sull’asserita omessa valutazione o sul travisamento di quanto riferito dal Gentile, del quale vengono riportate nei ricorsi sono alcune selezionate dichiarazioni e non la deposizione integrale. Peraltro, anche dai brani riprodotti dai ricorrenti, emerge in maniera sufficientemente chiara come egli solo retrospettivamente abbia pensato ad uno scherzo e comunque non certo che consegnò il portafogli spontaneamente e non perché minacciato dal B. Conseguentemente priva di fondamento è altresì l’obiezione per cui sarebbe mancata in capo agli imputati la consapevolezza del dissenso della vittima.

3. Colgono invece nel segno le doglianze proposte dal P. e dal P. in merito alla configurabilità del loro concorso nella consumazione del reato. Profilo che i due ricorrenti avevano specificamente devoluto al giudice dell’appello e sul quale la sentenza impugnata sostanzialmente tace, limitandosi a ricordare come i due giovani si trovavano a bordo della medesima vettura dalla quale il B. era sceso per aggredire il G., senza peraltro nemmeno chiarire se tale circostanza sia stata o meno ritenuta esaustivamente sintomatica del contestato concorso nel reato. Ma alla medesima circostanza potrebbe attribuirsi un tale significato solo laddove possa ritenersi accertato che l’azione criminosa fosse stata in qualche modo programmata e l’incontro con la vittima non meramente casuale ovvero qualora vengano evidenziati elementi che logicamente consentano di ritenere che la stessa – anche qualora ideata o deliberata sul momento – sia stata frutto di una decisione collettiva. Della sussistenza delle evidenziate condizioni comunque la Corte territoriale non si è interessata e pertanto deve ritenersi che in merito alle questioni proposte sul punto dai due ricorrenti con i motivi d’appello la motivazione della sentenza impugnata sia meramente apparente. Pertanto, in relazione alla posizione dei due succitati imputati e in riferimento al profilo evidenziato, la stessa deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Reggio Calabria per nuovo esame, mentre i residui motivi di ricorso proposti dai medesimi in merito al trattamento sanzionatorio devono ritenersi assorbiti.

4. Generiche sono infine le censure proposte dal B. in merito al denegato riconoscimento delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena, che non si confrontano con la motivazione resa sul punto dalla Corte territoriale in merito all’intrinseca sintomaticità della condotta ed all’espressività dei precedenti penali che gravano l’imputato. Conseguentemente il ricorso dello stesso B. deve essere dichiarato inammissibile ed egli condannato al pagamento delle spese processuali e della somma, che si stima equa, di euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.

PQM

Annulla la sentenza impugnata limitatamente a P. S. e P. D. con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Reggio Calabria per nuovo esame. Dichiara inammissibile il ricorso di B. A. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.

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