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Misure cautelari: il tempo che separa i fatti contestati dall’esecuzione della misura è idoneo ad incidere sulle esigenze cautelari (Cass. Pen. Sez. VI – 46960/15)

26 Nov 2015 - Sentenze

In tema di misure cautelari tanto più è il tempo trascorso dai fatti oggetto di imputazione, quanto più incerta deve ritenersi la possibilità che il ristretto possa tornare a delinquere; in tal senso, il giudice al quale viene richiesta una modifica o una revoca della misura ha l’obbligo di motivare concretamente la sua decisione.

 

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 13 novembre 2015 – 26 novembre 2015, n. 46960

Presidente Conti – Relatore Calvanese

 

RITENUTO IN FATTO

1. Con la ordinanza in epigrafe, il Tribunale del riesame di Lecce, investito da richiesta ex art. 309 cod. proc. pen., annullava il provvedimento con cui era stata applicata a L. D’A. la custodia cautelare in carcere per i reati di cui agli artt. 73 e 74 T.U. n. 309 del 1990.

In particolare, L. D’A. era stato raggiunto dalla misura cautelare in quanto gravemente indiziato di aver fatto parte di un’associazione dedita al narcotraffico operante in Brindisi fino al marzo 2012 (capo 23) e di aver, in concorso con altri, collaborato sino alla stessa data ad attività di spaccio di sostanze stupefacenti di varia tipologia, reperendo i clienti, consegnando la droga e ricevendone i corrispettivi (capo 18).

Secondo il Tribunale del riesame, gli elementi esposti nell’ordinanza cautelare dimostravano che il D’A. avesse coadiuvato il fratello, posto in posizione apicale all’interno all’associazione criminale, nell’attività di spaccio, nel reperire nuovi clienti, nella preparazione della droga da commercializzare e nella riscossione dei relativi crediti dalla clientela del gruppo.

Il Tribunale accoglieva invece la richiesta di riesame in ordine alle esigenze cautelari, che riteneva prive dei requisiti di attualità e concretezza richiesti dal codice di rito, in quanto la contestazione formulata si riferiva ad un’attività illecita tutta racchiusa in un arco temporale risalente nel tempo (dal 2011 fino a marzo 2012), che il ruolo assunto dall’indagato era marginale, sostanzialmente di ausilio del fratello C., che l’indagato aveva un unico precedente per tentato furto risalente al 2000 e nessuna altra pendenza, e che la difesa aveva documentato lo svolgimento da parte di questi di attività lavorativa.

2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecce, chiedendone l’annullamento, per la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen. con riferimento all’art. 275 cod. proc. pen.

Secondo la Procura ricorrente, il fattore “tempo” può essere valorizzato soltanto per stabilire l’adeguatezza della misura cautelare da applicare, ma non per elidere le esigenze cautelari presunte per legge.

Nel caso di specie, inoltre, l’associazione criminale nella quale operava l’indagato avrebbe operato per un tempo particolarmente lungo (considerato tra l’altro che la data finale dell’attività è stata determinata dalla chiusura delle indagini, ritenendo plausibile un’ulteriore operatività in epoca successiva), con collegamenti e ramificazione nel Nord-Italia, e sarebbe stata caratterizzata da una struttura tutt’altro che rudimentale.

L’ordinanza impugnata, omettendo di considerare tali elementi, si sarebbe appiattita nel recepire acriticamente i precedenti di legittimità, senza verificare se l’associazione de qua presentasse caratteri di stabilità tali da rivelare l’attualità delle esigenze cautelari.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato.

2. Questa Corte di legittimità ha affermato, in tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, che, in presenza di condotte esecutive risalenti nel tempo, la sussistenza delle esigenze cautelari deve essere desunta da specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne l’attualità, in quanto il decorso di un arco temporale significativo può esser sintomo di un proporzionale affievolimento del pericolo di reiterazione (Sez. 6, n. 52404 del 26/11/2014, Alessi, Rv. 261670).

In altri termini, si è inteso stabilire che, anche per i reati per i quali vige la presunzione relativa di cui all’art. 275, comma terzo cod. proc. pen. (esistenza delle esigenze cautelari e adeguatezza della misura cautelare carceraria), la distanza temporale tra i fatti e il momento della decisione cautelare, quale circostanza tendenzialmente dissonante con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare, comporta l’obbligo del giudice di motivare sia in relazione a detta attualità sia in relazione alla scelta della misura.
Questa affermazione si fonda per la fattispecie penale in esame sulla constatazione che l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti non presuppone necessariamente, ne’ sotto il profilo fenomenico ne’ sotto il profilo normativo, l’esistenza di una struttura organizzativa complessa, essendo una fattispecie “aperta”, idonea a qualificare in termini di rilevanza penale situazioni fortemente eterogenee, oscillanti dal sodalizio a vocazione transnazionale all’organizzazione di tipo “familiare”. Con la conseguenza che, in un panorama così variegato, il giudice deve valutare ogni singola fattispecie concreta sottoposta al suo esame, ove la difesa rappresenti elementi idonei, nella sua ottica, a scalfire la presunzione relativa operante per il reato in esame, ovvero a dimostrare l’insussistenza di esigenze cautelari o la possibilità di soddisfarle con misure di minore afflittività.

Nel caso in esame, i Giudici del riesame si sono attenuti a questa doverosa verifica, apprezzando le varie circostanze addotte dalla difesa a dimostrazione dell’insussistenza delle esigenze cautelari.

La motivazione sul punto dell’ordinanza impugnata si sottrae alle censure del ricorrente, in quanto assistita da un apparato giustificativo adeguato, esente da vizi logico-giuridici ed aderente alle linee concettuali in tema di motivazione del provvedimento cautelare appena richiamate, segnatamente in relazione al parametro di cui all’ad 275 c.p.p., in quanto ancorato a specifiche circostanze di fatto (illustrate in premessa) e pienamente idoneo ad individuare, in modo puntuale e dettagliato, gli elementi atti a denotare la mancanza di attualità e concretezza del pericolo di reiterazione criminosa.

Le diverse argomentazioni sostenute nel ricorso, quanto in particolare alla struttura e all’attività del sodalizio criminale, si presentano al contrario meramente assertive e non trovano neppure fondamento nell’ordinanza genetica (dove a pag. 15 si attribuisce all’associazione facente capo al duo R.-D’A. una struttura alquanto rudimentale).

 

PQM

Rigetta il ricorso.

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