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Procedura di riesame: il giudizio deve essere effettuato anche nei confronti dell’irreperibile (Cass. Pen. Sez. IV – 38391/18)

9 Ago 2018 - Sentenze

Procedura di riesame: il giudizio deve essere effettuato anche nei confronti dell’irreperibile (Cass. Pen. Sez. IV – 38391/18)

La procedura di “riesame” dell’ordinanza applicativa di una misura cautelare deve essere effettuata – ove richiesta – anche quando il destinatario dell’ordinanza stessa non sia stato rinvenuto dalla PG incaricata della notifica, stante l’evidente interesse alla verifica dell’atto dato dal pregiudizio morale e psicologico – oltre che patrimoniale – derivante dall’emissione dell’ordinanza medesima ed indipendente dalla sua concreta esecuzione.

 

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Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 luglio 2018 – 9 agosto 2018, n. 38391

Presidente Fumu – Relatore Tornesi

 

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 02 marzo 2018 il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Milano emetteva ordinanza di applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di D. K- per i reati di cui agli artt. 73 d.P.R. n. 309/1990, 81 cpv. 110 cod. pen., 2, 4 e 7 legge n. 895/1967 e succ. modif.

La procedura di esecuzione del provvedimento coercitivo non si perfezionava a causa dell’irreperibilità del predetto indagato e il 14 marzo 2018 veniva redatto il verbale di vane ricerche.

1.1. In data 20 marzo 2018 D. K., appresa la notizia dell’esistenza del provvedimento restrittivo a suo carico, nominava difensore di fiducia l’avv. N. V. che proponeva ricorso, ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., avverso l’ordinanza applicativa della misura custodiale.

1.2. Con ordinanza emessa de plano, in data 28 marzo 2018, il Tribunale di Milano – Sezione per il Riesame – dichiarava l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse sottolineando che il provvedimento cautelare non era stato eseguito nè D. K. era stato dichiarato latitante, facendo discendere da tali assunti l’insussistenza di una situazione concretamente pregiudizievole da rimuovere.

I giudici della cautela osservavano che, ai sensi dell’art. 309, commi 1 e 2, cod. proc. pen., il termine di dieci giorni per la proposizione della richiesta di riesame decorre dalla esecuzione o dalla notificazione del provvedimento cautelare e, per il latitante, dalla notificazione eseguita ai sensi dell’art. 165 cod. proc. pen.; per il difensore lo stesso termine decorre dalla notificazione dell’avviso di deposito dell’ordinanza.

Sostenevano che la rigida tempistica che regola il procedimento di riesame, non è conciliabile con il rito degli irreperibili.

2.Tale ordinanza veniva notificata, ai sensi dell’art. 148, comma 4, cod. proc. pen. mediante consegna di copia al difensore di fiducia avv. V.

3. Il difensore di fiducia di D. K., avv. V., ha proposto, tramite il sostituto processuale avv. M., ricorso per cassazione avverso la predetta ordinanza elevando i seguenti motivi.

3.1. Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta carenza di interesse alla proposizione del ricorso al Tribunale del Riesame da parte del destinatario di misura coercitiva risultato irreperibile, ma non ancora dichiarato latitante, o del suo difensore.

Sostiene che i giudici della Cautela sono incorsi in una erronea interpretazione della legge processuale e dei principi giurisprudenziali in materia, essendo sussistente, nel caso in esame, l’interesse attuale e concreto dell’indagato e del suo difensore alla rimozione del provvedimento coercitivo.

Soggiunge che il codice di rito, infatti, non prevede la sanzione processuale della inammissibilità nella ipotesi in cui l’indagato (o il suo difensore), abbia inteso proporre impugnazione anteriormente alla decorrenza dei termini stabiliti dalla legge e richiama l’orientamento giurisprudenziale alla cui stregua alla formale notifica del provvedimento cautelare (ovvero, al deposito dello stesso) può sostituirsi una conoscenza alternativa “formale”, avvenuta anche prima e indipendentemente dalla ricezione dell’avviso di deposito di cui all’art. 293, comma 3, cod. proc. pen.

Sollecita la Suprema Corte, qualora ritenga che l’attuale assetto normativo inibisca l’immediato esercizio del potere di impugnazione del difensore, procrastinandolo al momento successivo all’emissione del provvedimento che dichiara la latitanza, a sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 309, commi 1, 2, 3 cod. proc. pen. per contrasto con gli artt. 3, 111, comma 7, Cost.

Sottolinea, in particolare, l’ingiustificata disparità di trattamento che sarebbe, infatti, riservata a due identiche situazioni di fatto: da un lato, l’indagato o l’imputato latitante che potrebbe astrattamente evitare il carcere giovandosi di un annullamento della misura da parte del Tribunale del Riesame prima della sua esecuzione, dall’altro il «catturando irreperibile» che sarebbe, invece, costretto ad adire il Tribunale del Riesame solo dopo la cattura.

3.2. Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione con riferimento alla asserita impossibilità di eseguire, nell’ambito del procedimento di riesame, la notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale all’indagato irreperibile mediante consegna di copia al difensore di fiducia sostenendo che non possono dedursi difficoltà della notificazione di avvisi prima della emanazione del provvedimento declaratorio.

3.3. Conclude chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei termini che vengono qui di seguito esposti.

2. Il Collegio ritiene di aderire all’orientamento giurisprudenziale secondo cui, nell’ambito del procedimento incidentale di riesame, la previsione di un diesa quo per l’impugnazione ha il solo scopo di rendere invalicabile il termine finale ma non quello di fissare il momento prima del quale l’impugnazione non possa essere esercitata. Il procedimento cautelare presenta, infatti, aspetti peculiari posto che l’art. 309, comma 6, cod. proc. pen. prevede la possibilità di separare il negozio processuale di impugnazione dalla enunciazione dei motivi, con la conseguente inapplicabilità della particolare disposizione dell’art. 581, lett. c) cod. proc. pen. che impone, a pena di inammissibilità, l’indicazione dei motivi di impugnazione contestualmente alla presentazione del gravame, stante la facoltatività prevista dal sesto comma dell’art. 309 stesso codice, della indicazione dei motivi a sostegno e, quindi, della inapplicabilità della regola del«tantum devolutum quantum appellatum»(Sez. U. n. 16 del 05/10/1994, Rv. 199388).

Tale conclusione trova del resto conferma nella cognizione piena attribuita al Tribunale del Riesame al quale compete la stessa cognizione del giudice che ha emesso il provvedimento restrittivo indipendentemente dai motivi proposti dalla parte (Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, Ry.22100).

Va inoltre ribadito il principio secondo cui è ravvisabile l’interesse, concreto ed attuale, del soggetto nei cui confronti sia stata emesso un provvedimento limitativo della libertà personale, di ottenere, indipendentemente dalla esecuzione dello stesso, l’immediato controllo di legalità in quanto in ogni caso incidente negativamente sulla persona sotto il profilo del pregiudizio non solo morale e psicologico, ma spesso anche di natura patrimoniale che la sola emissione del provvedimento cautelare comporta (Sez. 4, n. 24627 del 07/04/2004, Rv. 228843).

La conferma del’esistenza di questo principio nel nostro ordinamento si trae chiaramente, oltre che dalle norme che riconoscono tale facoltà di impugnazione al latitante, da una valutazione complessiva delle norme di tutela previste dalla legge in materia di libertà che, con la previsione costituzionale (art. 111, comma 7,Cost.) della ricorribilità in Cassazione contro i provvedimenti sulla libertà personale, mostrano una tendenza volta a garantire la tutela immediata contro ogni pregiudizio dello status libertatis.

Del resto la Suprema Corte è pervenuta ad analoga soluzione interpretativa, nell’ipotesi di ineseguibilità dell’ordinanza di custodia cautelare per difetto di estradizione; in tal caso è stato annullato con rinvio il provvedimento del giudice del riesame che, accogliendo parzialmente il ricorso dell’indagato sotto il profilo della violazione del principio di specialità, aveva sospeso l’esecuzione della misura cautelare carceraria, senza entrare però nel merito del provvedimento impugnato (Sez. 4, n. 24627 del 07/04/2004,Ry. 228843).

Ed ancora, in applicazione dei principi sopra enunciati, la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto anche la sussistenza dell’interesse del parlamentare nei cui confronti era stata emessa la misura della custodia cautelare in carcere a proporre istanza di riesame sin dal momento in cui ha conoscenza del provvedimento, anche attraverso la richiesta di autorizzazione all’arresto rivolta alla Camera di appartenenza, dell’esistenza del correlativo provvedimento a suo carico ( Sez. 5, n. 22421 del 05/05/2003, Rv. 225445; Sez. 6, n. 147 del 16/01/1996, Rv. 204499).

3. Quanto al secondo motivo, è sufficiente rammentare che la giurisprudenza di legittimità ha statuito che nella procedura conseguente ad istanza di riesame, qualora non si riesca nell’intento di notificare l’avviso di udienza all’indagato o all’imputato, in quanto non rintracciato in nessuno dei luoghi di cui all’art. 161 comma 1, cod. proc. pen. e in ogni altro conoscibile recapito, va applicata la procedura di cui al quarto comma cod. proc. pen. che prevede la esecuzione della notificazione mediante consegna di copia dell’atto al difensore (Sez. 3, n. 3234 del 09/07/1990, Rv. 185089).

4. Alla stregua di quanto sopra esposto, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Milano, Sezione del Riesame, per il giudizio.

PQM

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Milano, sezione del riesame, per il giudizio.

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